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Prof. Don Giulio Brambilla
LAICI, UN ALFABETO DELLA VITA PER TESTIMONIARE LA SPERANZA

Al cristianesimo si nasce, nel cristianesimo si abita e da cristiani si vive nel mondo. Rispettando questa scansione, don Franco Giulio Brambilla ha incentrato la sua relazione teologica e pastorale al convegno ecclesiale di Verona su tre orizzonti tematici: la generazione, la casa e il dibattito pubblico.
 
Il docente presso la Facoltà teologica dell'Italia Settentrionale ha inquadrato così gli scopi e i temi del convegno, situandoli nell'orizzonte della coscienza missionaria che la Chiesa italiana ha messo al centro del decennio in corso, cammino del quale il convegno ecclesiale è tappa di snodo. Tale missionarietà ha detto il  sacerdote lombardo -  non è prima di tutto un'azione, ma il gesto con cui la Chiesa si lascia di nuovo generare dal Signore Risorto. Così facendo si diventa capaci di interpretare e di realizzare le attese e le speranza degli uomini di oggi, di mettere in contatto la ricerca di vita, di relazioni buone, di giustizia, di libertà  e di pace con la fonte stessa della speranza viva, Gesù risorto. Per far questo occorre un paziente lavoro di discernimento, arduo in una società  fluida e ripiegata sull'immediato, nella quale la speranza rischia di essere sconfinata nello spazio intimo di una speranza individuale o nell'ambito di un progressismo sociale.
 
Due gli atteggiamenti  necessari. Il primo punta alla custodia gelosa della differenza specifica della fede, sia nei confronti di ogni lettura dell'identità  di Gesù come un semplice guru religioso, sia riguardo a ogni comprensione della Chiesa solo come luogo di risposta al bisogno religioso o al servizio delle povertà. Il secondo atteggiamento si compie nella necessità  di generare l'uomo nuovo. Compito difficile nell'epoca della scienza e della tecnica, che hanno imposto una vera e propria questione antropologica. Per i cristiani non è solo un problema astratto, ma qualcosa che tocca la vita concreta delle persone.
Sulla base della Pietra angolare, poi, si costruisce la casa-chiesa, come dice la Lettera di Pietro, scritto che fa da leit-motiv a tutti i lavori. E la spinta è a una parrocchia missionaria. Per questo la Chiesa italiana, spiega il teologo e pastoralista, ha privilegiato le dimensioni della trasmissione (primo annuncio, iniziazione) e della cultura (progetto culturale e comunicazione massmediale). Lo ha fatto per favorire le soglie di accesso alla fede e aprire le finestre sul mondo della vita. Dunque, il convegno, ha proseguito il docente, non vuole interrogarsi sul posto che spetta ai laici, ovvero sulle relazioni intraecclesiali. Non serve una
puntigliosa ricerca e affermazione della propria identità, quanto piuttosto uno sforzo corale. Non è forse questo il tempo favorevole si chiesto in cui tutte le anime del cattolicesimo italiano possano parlarsi e confrontarsi, in cui anche le associazioni e i movimenti che le rappresentano possano percepire e vivere la loro esperienza singolare come identità  aperta attraverso la diversità  delle componenti del popolo di Dio e delle ricche tradizioni spirituali delle diocesi italiane.
 
Tre le vocazioni del laico: formativa, comunionale e secolare. La prima richiede forte armatura spirituale. La seconda è essenziale in un orizzonte nel quale la Chiesa o sarà la comunità dei molti carismi, servizi e missioni o no esisterà semplicemente. Questo senza voler cercare surrogati per la mancanza di sacerdoti, piuttosto nell'ottica della corresponsabilità, cioè evitando le pastoie della burocrazia ecclesiastica, animando la pastorale d'insieme e promuovendo progetti profetici nel sociale.
Già, nel mondo, nel confronto pubblico con i non credenti e le altre religioni, infatti, i laici, che sono al centro del convegno ecclesiale, vivono appieno il loro ministero. Qui devono rendere conto della speranza che è in loro (è sempre la lettera di Pietro), vivendo il cristianesimo come esercizio, cioè assumendo le forme della vita umana come un alfabeto, in cui dirsi e realizzarsi.
 

   Relazione Brambilla

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