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LA TESTIMONIANZA CULTURALE PER IL CREDENTE NON E' IPOTESI, MA OBBLIGO

Portare una testimonianza culturale per il credente non è ipotesi, ma obbligo. Sarebbe, però, sbagliato “aspettare di disporre di una ‘comprensione’ definitiva dei contesti di vita contemporanei per attuare quelle ‘scelte’ che consideriamo ogni giorno più auspicabili“. Dunque, ha sottolineato il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Lorenzo Ornaghi - nella relazione odierna al convegno ecclesiale di Verona – vanno coniugati pensiero e azione, discernimento e coraggio, rischio e ntraprendenza. Il politologo si è interrogato dapprima sui modi per testimoniare speranza, ovvero alimentare e vivificare “i molteplici ambiti della condotta e dell’azione umana”. Oggi, infatti, si sperimentano “crescenti forme di apatia politica o accidia personale, disorientamenti, frustrazioni e il pervasivo stato d’animo secondo cui nulla o pochissimo è possibile fare per il miglioramento dell’Italia”. Atteggiamenti che “non trovano antidoto e nemmeno palliativo nel miraggio di nuove e imminenti stagioni, preparate e aperte da un’idea di cultura riduttivamente intesa come l’indispensabile premessa e strumento di un’azione che peraltro viene continuamente rinviata”. La cultura è concepita come “programma stilato in modo più o meno perentorio da minoranze elitarie”, senza intercettare la vita. E questo è uno dei motivi per cui “la condizione attuale dei cattolici viene descritta o stigmatizzata nei termini impropri e fuorvianti di una montante irrilevanza”.

La proposta culturale allora – ha proseguito il rettore dell’ateneo fondato da Agostino Gemelli -  deve puntare all’essenziale. La società di oggi è “precaria, vulnerabile, carente di un durevole ethos di appartenenza”, fino a dare la sensazione di “vivere perennemente in bilico” tra attese fiduciose e amplificate inquietudini. Essa è “ripiegata sul presente”. Per superare questa situazione, occorre “riuscire a cogliere l’essenziale della nostra stagione storica” e, dunque, c’è bisogno di una cultura che sia “intrinsecamente sperante”. Cioè innestata sulle pratiche di vita. I cattolici hanno attraversato nei decenni scorsi le vicissitudini sociali, economiche e politiche del Paese. E talvolta le hanno “patite con maggiore intensità  e non di rado  con sofferenza”. Ciò non ha impedito loro di dare un contributo “né marginale, né di second’ordine” al tentativo di uscire da “una transizione che in no pochi passaggi è apparsa troppo simile a una pericolosa stagnazione”. Dunque, ha detto lo studioso con un slogan: “Non siamo all’anno zero”. Anzi, il rettore della Cattolica ha percorso le tappe che dal convegno di Roma del 1976 hanno portato, attraverso Loreto e Palermo, all’appuntamento scaligero, individuando sin dall’inizio l’attenzione alla dimensione culturale.

Guardando al percorso da Palermo a oggi, Ornaghi ha affermato che “i dieci anni del progetto culturale ci hanno aiutato a dimostrare – a noi stessi in primo luogo, e a tutto il cosiddetto mondo laico –che la ragione è base e orizzonte di una cultura viva. La ragione, non appiattita sulle convenienze del momento, né subalterna alle rappresentazioni sociali più diffuse, serve a capire in profondità, a cogliere, appunto, l’essenziale”. Tre sono i versanti in cui lo studioso ha guardato a questo compito: la scienza, la politica e l’educazione. Innanzitutto il progresso scientifico e tecnologico, che ha “raggiunto grandi positivi traguardi”, conducendo però anche a “una sopravvalutazione della ragione scientifica e tecnologica”. Ciò ha portato, però anche a una “drammatica scomposizione dell’umano”. Basti pensare – ha detto il politologo – a biologia e medicina che stanno ridefinendo “in modo non indolore l’identità e la concezione stessa della persona”. Parlare, con il cristianesimo, di “unitarietà del soggetto” non è “una vuota formula declamatoria”, per il fatto che “il cristianesimo ha rinnovato e, anzi, completamente rivoluzionato le finalità e le modalità con cui l‘uomo, attraverso la figura di Cristo, guarda se stesso”. Sulla questione politica Ornaghi ha citato l’ultima intervista rilasciata dallo scomparso storico Giorgio Rumi, per mettere in guardia i cattolici dallo ”straniamento”. Le sfide riguardano il benessere di tutti, la biopolitica, l’etica pubblica e richiedono una mediazione politica. Essa, però, “quanto più la politica sarà costretta a esprimersi e a decidere su valori e questioni etiche, tanto meno dovrà accontentarsi di costituire l’instabile punto di equilibrio o compromesso tra partiti o tra posizioni e rappresentazioni sociali antagoniste”. Infine la cultura e la formazione dovranno sempre più “configurarsi come servizio reso alla società” .

L’università e la scuola, allora, non potranno non costruire “percorsi di rilettura critica dell’oggi, liberi dai pesanti condizionamenti del conformismo dominante “. Per creare modelli culturali alternativi.

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   Ornaghi_integrale.doc

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